Il Teatro dei Segni inaugura la sua rassegna di teatro per Adulti con il secondo studio di “Appunti per un esserci” di Gabriella Rusticali in scena il 24 e il 25 marzo alle ore 21.15.
L’attrice storica del Teatro Valdoca di Cesena si cimenta con il suo nuovo spettacolo e sceglie i rinnovati spazi del Teatro dei Segni (ex Teatro Zero) per presentarlo in anteprima al pubblico modenese.
Lo spettacolo si inserisce all’interno della rassegna di Teatro per Adulti curata dall’organizzazione del Teatro dei Venti con la direzione artistica di Stefano Tè.
Nella definizione di Azzurra D’Agostino, consulente per la Drammaturgia: “Appunti per un esserci è prima di tutto è ascolto e attenzione verso le cose, il tutto che ci muove.
Parte come secondo studio di Mattinastra (spettacolo portato in scena nel 2005), dove il centro non è più la morte, ma il mistero, e di consenguenza va altrove.”
In questo solco, come in quello lasciato dal Mal de’ fiori Poema di Carmelo Bene (da cui sono attinti i testi), si inserisce questo lavoro, che parte da una ricerca sul suono e sul corpo dell’attore, per estendersi all’immagine e allo spazio, raccogliendo come si raccoglie un testimone (e non la “lettera morta” di un auctores) la sfida di una nuova possibilità di comprensione e di traduzione del mondo.
“Siamo sempre stati vittime d'una poesia che innanzitutto si è sempre beotamente illusa d'essere nel discorso autoriale che tramava. Come se si potesse essere autori di qualcosa! Come se (siamo o no quel che ci manca?) fosse scontato che l'essere parlante sia nel discorso in fieri e non s-parlato dal discorso stesso. Qualunque fare dovrebbe essere un fare altro da ciò che facciamo (anche volendolo nessuno è autore di niente). L'esito non coincide con l'intento come l'effetto non è mai la causa...”. Questa la considerazione di Carmelo Bene, nel considerare l’autore appunto nel suo senso interno di augere, nella sua predisposizione innanzi tutto all’ascolto, che tanto si avvicina alla sfida artaudiana della “glossolalia”, quel parlato fratto, quella parola consonantica e necessaria, dotata di significato e di senso anche quando non pienamente e “logicamente”comprensibile.
In assonanza con questi due autori, questo studio si mostra come un tentativo di scandagliare il mistero profondo delle cose in maniera viscerale, capace di scavalcare la comprensione prettamente razionale e di ridare così senso anche alla parola stessa, togliendola dal logorio a cui è soggetta oggi.
L’attrice storica del Teatro Valdoca di Cesena si cimenta con il suo nuovo spettacolo e sceglie i rinnovati spazi del Teatro dei Segni (ex Teatro Zero) per presentarlo in anteprima al pubblico modenese.
Lo spettacolo si inserisce all’interno della rassegna di Teatro per Adulti curata dall’organizzazione del Teatro dei Venti con la direzione artistica di Stefano Tè.
Nella definizione di Azzurra D’Agostino, consulente per la Drammaturgia: “Appunti per un esserci è prima di tutto è ascolto e attenzione verso le cose, il tutto che ci muove.
Parte come secondo studio di Mattinastra (spettacolo portato in scena nel 2005), dove il centro non è più la morte, ma il mistero, e di consenguenza va altrove.”
In questo solco, come in quello lasciato dal Mal de’ fiori Poema di Carmelo Bene (da cui sono attinti i testi), si inserisce questo lavoro, che parte da una ricerca sul suono e sul corpo dell’attore, per estendersi all’immagine e allo spazio, raccogliendo come si raccoglie un testimone (e non la “lettera morta” di un auctores) la sfida di una nuova possibilità di comprensione e di traduzione del mondo.
“Siamo sempre stati vittime d'una poesia che innanzitutto si è sempre beotamente illusa d'essere nel discorso autoriale che tramava. Come se si potesse essere autori di qualcosa! Come se (siamo o no quel che ci manca?) fosse scontato che l'essere parlante sia nel discorso in fieri e non s-parlato dal discorso stesso. Qualunque fare dovrebbe essere un fare altro da ciò che facciamo (anche volendolo nessuno è autore di niente). L'esito non coincide con l'intento come l'effetto non è mai la causa...”. Questa la considerazione di Carmelo Bene, nel considerare l’autore appunto nel suo senso interno di augere, nella sua predisposizione innanzi tutto all’ascolto, che tanto si avvicina alla sfida artaudiana della “glossolalia”, quel parlato fratto, quella parola consonantica e necessaria, dotata di significato e di senso anche quando non pienamente e “logicamente”comprensibile.
In assonanza con questi due autori, questo studio si mostra come un tentativo di scandagliare il mistero profondo delle cose in maniera viscerale, capace di scavalcare la comprensione prettamente razionale e di ridare così senso anche alla parola stessa, togliendola dal logorio a cui è soggetta oggi.